venerdì 12 febbraio 2010

il gladiatore e la neve

Sono un ragazzo, un giovane schiavo che il suo padrone ha venduto come gladiatore grazie (o per colpa) delle mie prestazioni fisiche. Non so se esserne orgoglioso o meno. Molti mi considerano un eroe, ma io combatto finte battaglie, costruite e pensate appositamente per divertire il pubblico. Finte battaglie, certo, in cui, però, si muore per davvero.
Ho 187 giorni. Ormai conto la mia età dalla prima volta che ho messo piede in arena. Da allora sono passati 187 giorni.
Sono 187 giorni che sopravvivo.
Anche oggi devo combattere. L'imperatore ha indetto una giornata di giochi. Per lui è un gioco, per me lotta tra la vita e la morte.
Sono nei sotterranei di questa arena, a prepararmi con altri schiavi. Indossiamo solo uno straccio per coprire i genitali. Nonostante sia inverno, non ci fanno indossare abiti durante i giochi: il pubblico vuole vedere scorrere il sangue. Gli unici oggetti ammessi sono gladi, elmi e scudi per il combattimento.
Ci mettiamo in fila, pronti ad entrare in arena. Sento le vibrazioni dell'edificio, il pubblico è in agitazione, non vede l'ora che lo spettacolo abbia inizio.
I cancelli si aprono e noi corriamo dentro l'arena. Sento l'aria gelida investirmi il petto. Un cielo grigio incombe su di noi.
Facciamo un giro dell'arena mentre il pubblico ci acclama, poi ci fermiamo sotto la balconata dove siede l'imperatore.
"Ave Caesar, morituri te salutant."
Non ci degna di uno sguardo questo freddo imperatore.
Una voce dagli spalti si alza, mentre il pubblico tace, e racconta la battaglia che oggi, con immenso piacere del nostro amato imperatore, sarà rappresentata. Non la ascolto neanche; sono già concentrato sul combattimento imminente. Fisso il cancello dall'altra parte dell'arena, in attesa che si apra ed entrino gli schiavi nemici.
Ecco, è il momento.
Una ventina di schiavi si riversano nell'arena e la battaglia ha inizio. Inizialmente è il caos, i più deboli periscono quasi subito. Poi cominciano a formarsi le coppie di avversari ed è lotta all'ultimo sangue.
Il mio avversario è più grosso di me, ma io ho dalla mia la velocità. Meniamo colpo su colpo: colpo, parata, colpo, parata. Ogni volta che paro un fendente, il mio scudo sembra cedere sempre più. I colpi del nemico sono davvero potenti. Devo almeno ferirlo, se voglio avere la meglio su di lui, se voglio vivere ancora.
Faccio un salto in avanti ed affondo la lama nella sua coscia, ma lui d'istinto risponde, mentre urla per il dolore. Non sono abbastanza rapido questa volta e riesce a farmi un profondo taglio sul braccio. Ci allontaniamo, guardandoci in cagnesco e valutando le proprie e le altrui condizioni. Poi, vedo lo sguardo del nemico farsi interrogativo. Non osiamo distogliere gli sguardi l'uno dall'altro, sarebbe fatale. Ma cerco di capire cosa c'è che non va, perché il mio avversario è così stupito. Da cosa? Non capisco.
Respiro forte, ho l'affanno. Sono accaldato e sento il sangue misto a sudore scorrermi lungo il braccio, che continua saldamente a tenere lo scudo. Poi... avverto qualcosa di strano anch'io.
Di solito si ode il cozzare di spade e scudi degli altri gladiatori ed in sottofondo le grida di incitamento del pubblico.
Invece ora tutto tace.
Continuo a guardare il mio nemico quando, davanti ai miei occhi, mi accorgo di queste gocce bianche che scendono lentamente dal cielo. E' una strana pioggia questa, non l'ho mai vista in vita mia. Mi guardo intorno, il mio nemico non attaccherà, è stupito quanto me. Vedo i volti degli altri gladiatori con la stessa espressione interrogativa che credo di avere anch'io. Sono tutti sorpresi da questo evento.
Le gocce bianche si adagiano lentamente sull'arena, ricoprendo di bianco la sabbia, i corpi dei caduti e le macchie di sangue. Si adagiano anche su di me. Sono gelide. Le guardo e vedo che al contatto con la mia pelle diventano acqua. Non l'ho mai vista, ma ne ho sentito parlare. Me ne ha parlato il mio ex padrone, quando lavoravo ancora in casa sua: reduce da campagne nordiche, mi narrava delle battaglie contro i germanici che si tenevano, durante l'inverno, in questi paesaggi ricoperti da una coltre bianca. La chiamava neve.
La neve comincia ad aumentare, ne scende sempre di più. Noi gladiatori ci giriamo verso l'imperatore, in attesa dell'ordine di continuare il combattimento o interromperlo.
Lui porta il pugno davanti a sé. Sorride. Ci voleva una cosa fredda come la neve per scaldargli il cuore?
Il pugno è chiuso davanti a sé...
Pollice in alto.
La battaglia è finita.
Sorrido anch'io.
Domani avrò 188 giorni.

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